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Introduzione all’intervento di vaginoplastica per transgender
L’intervento di riassegnazione chirurgica del sesso per donne transessuali (MtF), noto come “bottom surgery” in inglese, è l’insieme delle operazioni di chirurgia plastica e ricostruttiva che puntano a rendere gli organi genitali della paziente congruenti con quella che è la sua identità di genere. L’obiettivo dell’intervento è quindi trasformare i genitali maschili con i quali la paziente è nata in una vagina esteticamente accurata e funzionale e sotto le cure di un chirurgo esperto ci si può aspettare di ottenere sensibilità erogena, minime cicatrici e minzione normale.
La riassegnazione chirurgica del sesso da uomo a donna consiste di una serie di operazioni complesse, come l’orchiectomia, la ricostruzione del clitoride, delle grandi e piccole labbra, la vaginoplastica e la creazione del monte di venere, che vengono realizzate contemporaneamente e racchiuse nell’intervento noto come vaginoplastica primaria; in alcuni casi, gli interventi di labiaplastica o di creazione del monte di venere potrebbero essere eseguiti a distanza di qualche mese dall’intervento di vaginoplastica primaria, mentre l’orchiectomia potrebbe essere eseguita precedentemente ad essa.
Come altri interventi chirurgici l’aggettivo primario sta a significare che è il primo intervento di ricostruzione, mentre una vaginoplastica secondaria indica un secondo intervento di revisione effettuato per correggere difetti che non era stato possibile correggere nel primo intervento, per migliorare la funzionalità o l’estetica o ancora per correggere complicazioni occorse dopo il primo intervento.
Storia della riassegnazione chirurgica del sesso
Fin da ere antiche si ha documentazione di procedure, chiaramente ben lontane dall’essere un intervento chirurgico moderno, di tipo demolitivo a carico dei genitali esterni negli uomini e del ruolo che queste persone, chiamate eunuchi, avevano all’interno delle diverse società nella storia.
Il primo intervento chirurgico di questo tipo venne eseguito in Germania nel 1931, durante il quale venne eseguito inoltre il trapianto di utero e di un ovaio, ma si concluse con la morte della paziente 3 mesi dopo l’operazione.
Nel 1952 il chirurgo danese Paul Fogh-Andersen fu il pioniere dell’era moderna della chirurgia per la riassegnazione del genere ottenendo risalto internazionale nella comunità scientifica, ma anche nei media, grazie all’intervento di cambio di sesso effettuato in Danimarca su uno statunitense veterano della seconda guerra mondiale: George Jorgensen. Con il nome di Christine Jorgensen questa paziente diventò una celebrità nonché una attivista per i diritti dei transessuali, dando speranza agli individui affetti da disforia di genere e diffondendo le conoscenze nel campo della medicina e chirurgia per transgender.
La domanda per questo tipo di intervento dopo l’esposizione mediatica del caso danese aumentò bruscamente: un gran flusso di persone da tutto il mondo iniziò a dirigersi in Danimarca per sottoporsi alla riassegnazione di genere finché, incapaci di garantire tutte le prestazioni richieste, il governo Danese si vide costretto a limitare l’accesso a tali procedure ai soli cittadini Danesi.
Nel frattempo, l’interesse crebbe anche tra i medici Statunitensi con la John Hopkins University che nella metà degli anni ’60 divenne il centro di riferimento per la chirurgia per transgender negli Stati Uniti d’America. I criteri di selezione dei pazienti di questo istituto erano però estremamente rigorosi e delle 2000 domande di intervento ricevute nei primi 3 anni di attività, solo 24 vennero accolte. Alla fine degli anni ’70 questa clinica chiuse le porte ai transgender, ma nei 10 anni successivi oltre 1000 persone si sottoposero alla riassegnazione chirurgica del sesso nelle oltre 40 cliniche universitarie sparse per gli Stati Uniti interessate alla medicina e chirurgia per transgender.
Dall’altra parte del mondo, in Thailandia, il Dr. Preecha Tiewtranon e il Dr. Prakob Thongpeaw eseguirono il primo intervento di riassegnazione chirurgica del sesso da uomo a donna nel 1975 presso l’ospedale universitario Chulalongkorn. Le terapie per transgender furono in questo paese oggetto di ricerca e sviluppo, con l’invenzione di nuove tecniche chirurgiche e il perfezionamento dei risultati ottenuti. L’abilità dei medici Thailandesi in questa disciplina non è seconda a quella dei medici di altri paesi e anzi, la Thailandia è ritenuta a livello internazionale il paese più all’avanguardia per tutti gli interventi correlati alla medicina e chirurgia per transgender: se tra il 1985-1990 solo il 5% dei pazienti transessuali operati proveniva dall’estero, nel periodo 2010-2012 questa percentuale era salita al 90% a riprova della fama e abilità dei chirurghi Thailandesi.
Obiettivi ideali dell’intervento di riassegnazione chirurgica del sesso da uomo a donna
Idealmente, la riassegnazione di genere da uomo a donna (MtF) secondo diversi autori si pone i seguenti obiettivi:
- La creazione di una regione perineo-genitale il più femminile, naturale ed esteticamente accurata possibile, comprendente monte di Venere, vagina, labbra minori e maggiori, clitoride, prepuzio clitorideo
- La creazione di una neo-vagina di almeno 3cm di diametro e 10cm di profondità, dotata di lubrificazione spontanea, glabra ed elastica per permettere il sesso penetrativo
- L’ottenimento di sensibilità erogena nel neo-clitoride
A livello prettamente chirurgico vi è anche l’obiettivo di utilizzare una tecnica che sia efficace, riproducibile facilmente e che dia risultati consistenti tra un paziente e l’altro, con bassi tassi di rischio e complicazioni.
Questa branca della medicina, relativamente nuova e poco studiata, ha compiuto passi da gigante negli ultimi decenni. Ad oggi è possibile ottenere una vagina e una regione perineo-genitale esteticamente impeccabili, funzionalmente idonee ai rapporti sessuali di tipo penetrativo, che permettono il raggiungimento dell’orgasmo e soddisfazione sessuale. Non è però ancora possibile garantire la funzione riproduttiva, non vi è ricostruzione o trapianto di organi riproduttivi, non si ottengono le mestruazioni ed il ciclo mestruale.
Requisiti pre-operatori per il cambio di sesso
Come stabilito dagli Standards of Care Settima edizione della World Professional Association for Transgender Health (WPATH), per l’accesso alla vaginoplastica primaria vi sono dei requisiti:
- Diagnosi di disforia di genere persistente e ben documentata
- Intatta capacità di intendere e di volere, di prendere una decisione consapevole e di dare il consenso informato al trattamento
- La maggiore età nel paese di riferimento
- L’assenza di patologie mediche o psichiatriche che precludano l’intervento
- Almeno 12 mesi consecutivi di terapia ormonale sostitutiva femminilizzante
- Almeno 12 mesi consecutivi di vita nel ruolo di genere congruente con la propria identità di genere
Procedure pre-operatorie
Prima dell’intervento chirurgico di vaginoplastica in base al chirurgo, alla clinica e alla tecnica chirurgica prescelta potrebbero essere necessari alcuni esami o interventi medici quali
- Visite chirurgiche
- Esami strumentali e/o di laboratorio
- Donazioni ematiche per eventuali autoemotrasfusioni intra- e post-operatorie
- Stop alla terapia con estrogeni almeno un mese prima dell’intervento per ridurre il rischio cardiovascolare
- Terapia antibiotica profilattica da iniziare 24h prima dell’intervento
- Epilazione laser o a luce pulsata nella regione perineale per evitare la crescita di peli all’interno della neo-vagina. Alcuni chirurghi preferiscono invece effettuare la rimozione delle unità follicolari chirurgicamente durante l’intervento.
- Una dieta liquida e clisteri/purghe il giorno prima dell’intervento potrebbero essere necessari in base alla tecnica e al chirurgo scelti per l’intervento.
Tecniche chirurgiche per il cambio di sesso nelle donne transessuali (MtF)
Nel corso degli anni sono state sviluppate diverse tecniche chirurgiche per la riassegnazione di genere per donne transessuali. La tecnica maggiormente e principalmente utilizzata per la vaginoplastica primaria è quella dell’inversione di cute peniena; per la vaginoplastica secondaria o per pazienti con determinate caratteristiche anatomiche per le quali viene eseguita come primaria, la colon-vaginoplastica è la seconda tecnica maggiormente eseguita dai chirurghi di tutto il mondo.
1. Vaginoplastica con inversione di cute peniena
Nota come la procedura standard nel cambio di genere da uomo a donna, la vaginoplastica con inversione di cute peniena è una tecnica chirurgica che incorpora al suo interno una orchiectomia, una penectomia parziale, la dissezione del pene con creazione del canale vaginale, una labioplastica e una clitoroplastica.
Esistono diverse modificazioni di questa tecnica ad opera di diversi chirurghi, in base al chirurgo prescelto quindi alcuni passaggi potrebbero essere eseguiti diversamente.
L’intervento comincia con l’inserimento di un catetere vescicale. Si esegue quindi una incisione lungo il rafe scrotale, la linea mediana dello scroto, e si esegue l’orchiectomia. Viene quindi dissezionato il pene: si separa il glande dall’asta e si disseziona il fascio neurovascolare dorsale del pene dai corpi cavernosi sottostanti. I corpi spugnosi vengono resecati con incisione alla base del pene per prevenire che la stimolazione erogena che ne provoca il rigonfiamento causi la costrizione della neo-vagina durante un rapporto sessuale. I corpi cavernosi vengono invece resecati lasciandone una piccola parte che costituirà la base del neo-clitoride, costituito dalla regione dorsale del glande precedentemente dissecata. Si crea quindi una tasca interna nella regione interposta tra il retto e l’asta del pene, si inverte la pelle del pene che viene cucita per creare un fondo cieco e la si inserisce in questo spazio creato. Si accorcia quindi l’uretra e si crea un nuovo meato uretrale. Si posiziona quindi il neo-clitoride e si creano il prepuzio clitorideo e le piccole labbra vaginali. La pelle dello scroto viene impiegata per la creazione delle grandi labbra vaginali e si inserisce uno stent nella neo-vagina per mantenerla dilatata.
Il catetere vescicale e lo stent vaginale restano in posizione per i primi 4-7 giorni e alla rimozione viene iniziata la dilatazione della neo-vagina seguendo lo schema consigliato dal chirurgo tramite l’inserimento di tutori (dilatatori) quotidianamente per i primi 6 mesi. Nei primi giorni la paziente rimane allettata e le verrà somministrata l’eparina per la prevenzione del tromboembolismo venoso. Alla rimozione del dilatatore permanente dopo i primi giorni, sarà possibile iniziare a deambulare. La neo-vagina viene pulita quotidianamente con soluzioni antisettiche come il betadine. La dimissione avviene in genere dopo 7-8 giorni dall’intervento. Dopo 6-8 settimane dall’intervento e una volta ricevuto il via libera dal chirurgo, sarà possibile iniziare ad avere rapporti sessuali di tipo penetrativo.
La prostata non viene generalmente rimossa dalla sua sede, questo perché costituisce una struttura erogena interna analoga al cosiddetto punto G femminile. Per questo motivo sarà necessario eseguire gli eventuali controlli medici periodici necessari come da linee guida internazionali di riferimento.
L’epilazione laser definitiva è un passaggio fondamentale in questa tecnica chirurgica per prevenire la crescita di peli all’interno della neo-vagina o di altre strutture ricostruite, col rischio di causare infezioni e/o costrizioni delle strutture. Questo viene eseguito nelle settimane e mesi precedenti l’intervento, ma in alcuni casi viene effettuato manualmente dal chirurgo durante l’intervento di vaginoplastica primaria.
Vantaggi della vaginoplastica con inversione di cute peniena
Il vantaggio di questa tecnica è che si evitano i rischi conseguenti alla chirurgia addominale.
Svantaggi della vaginoplastica con inversione di cute peniena
Gli svantaggi di questa tecnica sono che per ottenere una neo-vagina di dimensioni accettabili si deve partire da un pene di dimensioni adeguate e quindi potrebbe non essere possibile eseguire questo intervento nelle pazienti con un pene di dimensioni ridotte, cosa comune specialmente quando la terapia ormonale sostitutiva femminilizzante viene iniziata in adolescenza prima che il pene e in generale l’organismo si sia sviluppato appieno. In caso di interventi precedenti, quali la circoncisione, potrebbe non esserci tessuto sufficiente alla creazione della neo-vagina. Si possono utilizzare lembi di pelle aggiuntivi, di provenienza diversa dall’asta del pene, per ovviare a tali problemi. Altro svantaggio di questa tecnica è che a meno di utilizzare alcune modificazioni alla tecnica generale, la neo-vagina non avrà secrezioni naturali e sarà quindi necessario lubrificarla artificialmente quando necessario. La neo-vagina inoltre avrà la tendenza a chiudersi e non rimanere pervia, oltre ad avere dimensioni inizialmente inidonee al sesso penetrativo, per cui sarà necessario seguire un regime di dilatazione come da consiglio del chirurgo.
2. Colon-vaginoplastica o vaginoplastica intestinale
In questa tecnica si procede alla ricostruzione della neo-vagina a partire da una porzione di intestino, generalmente una sezione di colon sigmoideo quando si preleva dall’intestino crasso, ma talvolta si sceglie di utilizzare l’intestino tenue ed in tal caso si preleva una porzione dell’ileo. Il beneficio che si ottiene dall’usare questo segmento di intestino crasso sono il largo diametro e le ridotte secrezioni, ben più abbondanti in altre parti dell’apparato digerente. La sezione di colon sigmoideo, lunga circa 12-15cm, mantiene intatto il suo peduncolo vascolare e viene collocata nella tasca creata dal chirurgo nella regione perineale ove si intende posizionare la neo-vagina. Si sutura da un lato all’apertura della neovagina, mentre la parte opposta viene chiusa a fondo cieco e l’intero segmento viene ancorato internamente al bacino per evitare che migri o vada incontro a torsione. Il tratto intestinale viene anastomizzato per ristabilire la continuità del tratto digestivo.
Venendo utilizzato un segmento di colon per la creazione della neo-vagina, dopo l’intervento e secondo le linee guida internazionali, sarà necessario proseguire ed eseguire gli screening e i controlli periodici necessari alla prevenzione del tumore del colon.
È un intervento spesso eseguito come prima scelta nella vaginoplastica secondaria, quando quella primaria non ha portato ai risultati voluti.
Vantaggi della colon-vaginoplastica
Il vantaggio di questa tecnica è che la neo-vagina avrà sicuramente dimensioni sufficienti per l’essere funzionale, la presenza di una tonaca mucosa lubrificata fisiologicamente e la ridotta necessità di seguire un regime di dilatazione post-operatoria. L’apparenza e la consistenza dei tessuti è molto più simile a quella di una vagina.
Svantaggi della colon-vaginoplastica
Lo svantaggio di questa tecnica è principalmente il fatto che si effettua congiuntamente un intervento chirurgico addominale, con anastomosi intestinale, che porta con se tutte le complicazioni relative a questa tecnica. Inoltre, c’è il rischio di avere secrezioni della neo-vagina troppo abbondanti o maleodoranti, cosa più comune quando viene utilizzato l’ileo rispetto al sigma. Altro svantaggio è costituito dalla presenza di cicatrici addominali visibili.
3. Vaginoplastica con lembo scrotale – Tecnica del Dr. Suporn
Il Dr. Suporn Watanyusakul ha sviluppato una tecnica personale per la vaginoplastica, eseguita per la prima volta su una paziente nell’anno 2000.
Questa tecnica prevede l’utilizzo della pelle scrotale per la costruzione del canale vaginale, eventualmente utilizzando innesti inguinali se la pelle scrotale non è di estensione sufficiente. La pelle peniena viene invece utilizzata per la ricostruzione delle piccole labbra, il prepuzio clitorideo e altri dettagli estetici dei geniali esterni. Questa tecnica generalmente è in grado di far ottenere una neo-vagina di dimensioni maggiori rispetto a quelle ottenute con l’inversione di cute peniena ed è ritenuta superiore dal punto di vista della sensibilità erogena e della sensibilità estetica, per il modo in cui vengono usati e preservati i vari tessuti dall’origine embriologica omologa nel maschio e nella femmina biologica. Il dr. Suporn inoltre preleva le ghiandole di Cowper o ghiandole bulbo-uretrali, posizionandole nella neo-vagina, garantendo quindi una lubrificazione naturale quando c’è stimolazione sessuale.
Questa tecnica viene eseguita a Chonburi, in Thailandia, presso la clinica del Dr. Suporn.
4. Vaginoplastica con lembo scrotale – Tecnica del Dr. Chettawut
Il Dr. Chettawut Tulayaphanich ha sviluppato una tecnica per la vaginoplastica con utilizzo di lembo scrotale simile alla tecnica del Dr. Suporn.
Il Dr. Chettawut utilizza la cute del pene e del prepuzione per la creazione delle piccole e grandi labbra e del prepuzio del neo-clitoride, mentre la pelle scrotale andrà a delimitare il canale vaginale, talvolta con l’aggiunta di innesti inguinali, con dimensioni generalmente maggiori rispetto a quelle ottenibili con la tecnica classica di inversione di cute peniena. Anche in questo caso vengono conservate le ghiandole bulbo-uretrali per garantire una lubrificazione fisiologica della neo-vagina.
Questa tecnica è ritenuta superiore sia a livello estetico che funzionale. La sensibilità viene definita eccellente ed è possibile raggiungere l’orgasmo. Due parti conservano la sensibilità erogena: il clitoride, costruito a partire dalla regione dorsale del glande del pene e innervato da branche del nervo pudendo, e il vestibolo vulvare (l’apertura, tra le piccole labbra e il canale vaginale) ricostruito a partire della parte ventrale del glande anch’esso con connessione alle branche del nervo pudendo. Il Dr. Chettawut preserva inoltre l’innervazione di altre 3 branche nervose a livello del prepuzio clitorideo, delle piccole labbra e del canale vaginale adiacente alla prostata, garantendo ulteriore e maggiore sensibilità.
Questa tecnica viene eseguita a Bangkok, in Thailandia, presso il Centro di Chirurgia Plastica Chettawut.
5. Vaginoplastica con lembi non genitali
Tecnica utilizzata in passato come vaginoplastica secondaria quando la vaginoplastica primaria con inversione di cute peniena non aveva portato a risultati soddisfacenti. Si utilizzano lembi prelevati dalla coscia medialmente o dalla regione inguinale per la creazione della neo-vagina, talvolta combinati con lembi penieni tramite suture per la creazione di un lembo unico di dimensioni maggiori.
Il vantaggio di questa tecnica è che i lembi non genitali vanno incontro a minor contrazione e restringimento, richiedendo quindi ridotta dilatazione post-operatoria. Lo svantaggio principale sono le complicazioni nella regione donatrice di tessuto, la cicatrice dove avviene il prelievo, la complessità tecnica e la consistenza dei tessuti innaturale se comparata ai lembi genitali. Inoltre non presentano strutture che permettano la lubrificazione della neo-vagina naturalmente.
6. Vaginoplastica con innesti di tessuto genitale
Tecnica utilizzata in passato e che prevedeva l’utilizzo di innesti di pelle prelevati dallo scroto o dal pene per la creazione della neo-vagina. Il vantaggio dell’innesto penieno rispetto a quello scrotale è il ridotto numero di follicoli piliferi, tuttavia è una tecnica raramente utilizzata essendo possibile ottenere risultati migliori con l’utilizzo della pelle del pene come lembo peduncolato. Gli innesti scrotali invece sono utilizzati correntemente nei casi nei quali la sola pelle ricavata dalla dissezione del pene non sia sufficiente alla creazione di una neo-vagina di dimensioni funzionalmente accettabili.
7. Vaginoplastica con innesto di tessuto non genitale
Tecnica utilizzata in passato e che prevede l’utilizzo di innesti non genitali per la creazione della neovagina, generalmente innesti di pelle prelevati dall’addome. Il vantaggio è che non si rischia di non avere tessuto sufficiente per la creazione di una neo-vagina funzionale, l’assenza o la presenza limitata di peli rispetto alla regione genitale, il basso rischio di complicazioni. Lo svantaggio è la tendenza degli innesti cutanei a restringersi e quindi la necessità assoluta di seguire un regime di dilatazione continuato nel tempo, l’assenza di secrezioni naturali e la sensibilità non ottimale.
In tempi più recenti si sta investigando il potenziale della mucosa orale per la ricostruzione della neo-vagina. In alcuni casi si sono prelevati innesti o micro-innesti poi suturati assieme per ottenere le dimensioni desiderate. In altri casi si è prelevata una piccola porzione di tessuto poi messo in coltura cellulare per aumentarne la superficie della mucosa. Questa tecnica non è ancora largamente utilizzata, ma possiede il vantaggio di avere un alto tasso di sopravvivenza dell’innesto, bassa incidenza di contrazione e restringimento del tessuto innestato, la presenza di funzione secretoria naturale dell’innesto, motivi per i quali potrebbe essere utilizzata maggiormente in futuro.
8. Vaginoplastica con uso di matrice dermica acellulare (Acellular Dermal Matrix o ADM)
Questa tecnica non è ancora stata utiizzata per gli interventi su donne transessuali, ma è stata già descritta per pazienti cisgender con agenesi vaginale. Negli interventi eseguiti è stata utilizzata una matrice dermica acellulare prelevata dalla sottomucosa dell’intestino tenue del maiale. In futuro potrebbe essere una tecnica utilizzata anche per le donne transgender, ma lo svantaggio principale è il costo elevato dell’intervento.
9. Vaginoplastica estetica non funzionale o Vulvoplastica – Tecnica “Zero Depth” (profondità zero)
Questa tecnica utilizza tessuti ricavati dagli organi sessuali maschili per la creazione di una vagina esteticamente soddisfacente, come per le altre tecniche esposte in precedenza, preservando sempre la sensibilità tattile ed erogena. Il canale vaginale non viene però creato, rendendo non possibile il sesso di tipo penetrativo. Questo è l’intervento ideale per le pazienti non interessate ai rapporti vaginali penetrativi che andranno quindi incontro ad un intervento più breve, meno costoso, con meno rischi e senza la necessità di continuare a dilatare e pulire quotidianamente il canale della neo-vagina per il resto della loro vita.
Informazioni post-operatorie
La dilatazione è generalmente raccomandata per i primi 6 mesi post-intervento. Dopo 6 mesi se la paziente sostiene rapporti sessuali con regolarità, non è più necessaria. Il regime, con alcune variazioni in base a chirurgo e tecnica utilizzata, prevede l’uso di tutori di diametro crescente tra i 20mm fino ai 32mm e lunghezza di circa 13cm, inizialmente 3 volte al giorno per 50 minuti ogni volta; una volta raggiunte le dimensioni desiderate, per il mantenimento sarà sufficiente l’utilizzo dei dilatatori 2-3 volte a settimana o meno nel caso di rapporti sessuali penetrativi frequenti. È necessario applicare abbondante lubrificante a base d’acqua prima dell’uso dei dilatatori, per prevenire danni ai tessuti e dolore nell’inserimento.
Le ferite vengono pulite quotidianamente e vanno tenure pulite e asciutte fino a guarigione completa. Il canale vaginale della neo-vagina necessiterà di igiene quotidiana minuziosa per prevenire complicazioni e infezioni.
Finchè non verrà eseguito il primo intervento di trapianto di utero in una donna transgender, la gravidanza non sarà ovviamente possibile per queste pazienti.
Gli interventi di revisione avvengono principalmente per migliorare e ritoccare l’estetica del risultato, ma talvolta una vaginoplastica secondaria è anche indicata per migliorare il risultato anche dal punto di vista funzionale.
Il ritorno al lavoro avviene di solito dopo 4-6 settimane dall’intervento.
Rischi e complicazioni
I rischi e le complicazioni conseguenti la riassegnazione chirurgica del sesso da uomo a donna comprendono rischi generici presenti in ogni intervento chirurgico, quali il rischio anestesiologico, il sanguinamento intra- e post-operatorio, le infezioni, le cicatrici, la guarigione ritardata delle ferite chirurgiche, danni a strutture circostanti. Come rischi e complicazioni specifiche per questo intervento si possono avere invece il restringimento dell’uretra o della neo-vagina, stenosi del nuovo meato uretrale, fistole retto-vaginali, necrosi degli innesti, perdita di sensibilità tattile e/o erogena, dimensioni della cavità vaginale insufficienti a sostenere un rapporto sessuale penetrativo.
Nella colon-vaginoplastica si possono inoltre avere perdite a livello dell’anastomosi intestinale e adesioni addominali.
Intervento di cambio di sesso (MtF) in Thailandia
Ad oggi sono circa 20 i chirurghi thailandesi che eseguono interventi di riassegnazione chirurgica del genere, concentrati principalmente in 5 cliniche:
- PAI – Preecha’s Aesthetic Institute a Bangkok, fondata dal Prof. Preecha Tiewtranon
- Suporn Clinic a Chonburi – Pattaya, fondata dal Dr. Suporn Watanyusakul
- Centro di chirurgia plastica Chettawut a Bangkok, fondato dal Dr. Chettawut Tulayaphanich
- Kamol Cosmetic Hospital a Bangkok, fondata dal Dr. Kamol Pansritum
- PPSI – Phuket Plastic Surgery Institute a Phuket, fondato dal Dr. Sanguan Kunaporn
Attualmente ogni giorno in Thailandia ci sono una media di 2-3 interventi di riassegnazione chirurgica del sesso (SRS) da uomo a donna (MtF) eseguiti su pazienti stranieri (turisti sanitari); per la grande abilità ed esperienza locale, le tecniche innovative utilizzate, il gran numero di operazioni eseguite, le strutture qualitativamente eccellenti, l’ospitalità unica, i bassi costi, la Thailandia è considerata il miglior paese dove sottoporsi a interventi di chirurgia per transgender, vaginoplastica inclusa.
Il costo dell’operazione dipende dalla clinica, dal chirurgo e dagli interventi eseguiti, e si aggira attorno ai 10-20,000$ per la riassegnazione chirurgica del sesso (MtF). La permanenza in Thailandia è richiesta in genere per 3-4 settimane (1 pre-operatoria e 3 post-operatorie).
Fonti
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