In questo articolo tratteremo brevemente quello che è il percorso medico-chirurgico di transizione da uomo a donna (MtF) e da donna a uomo (FtM). Non ci occuperemo né dell’iter burocratico né degli aspetti legali della transizione, per i quali consigliamo la lettura di altri siti specializzati nella materia.[1.0-1.4] Parleremo quindi di:
- Diagnosi di disforia di genere
- Terapia ormonale sostitutiva per pazienti transgender
- Terapia chirurgia per la disforia di genere, che comprende vari tipi di interventi definiti come [2]:
- Interventi primari (adeguamento dei genitali)
- Interventi secondari (adeguamento della parete toracica)
- Interventi complementari (tutti gli altri interventi di femminilizzazione o mascolinizzazione)
Premettiamo che l’iter di cui parleremo non è obbligatorio per tutti, cerchiamo semplicemente di fornire qualche informazione a chi è interessato agli aspetti medico-chirugici relativi alla transizione.
Esistono due protocolli seguiti in Italia dalle strutture e dai professionisti che si occupano del processo di transizione e dell’assistenza alle persone transgender:
- Protocollo ONIG (Osservatorio Nazionale Identità di Genere) [3]
- Protocollo WPATH (World Professional Association for Transgender Health) [4]
Questi protocolli stabiliscono, tra le varie, i criteri di accesso agli interventi chirurgici, quali ad esempio la necessità di psicoterapia o di aver intrapreso la terapia ormonale o il tempo necessario prima di potersi sottoporre a un tipo di intervento. Questi “limiti” non sono stati studiati a caso, ma si basano sul consenso internazionale e sui dati rilevati e gli studi condotti e servono a minimizzare i casi in cui un paziente possa sottoporsi a interventi di chirurgia invasiva con effetti irreversibili e poi pentirsene. I limiti danno modo di sperimentare gradualmente il ruolo sociale di genere nel quale ci si identifica e comprendere meglio sé stessi e ciò che si vuole.
Cisgender e non conformità di genere: un po’ di terminologia
Per cisgender si intendono tutte le persone che si riconoscono e conformano, per comportamento, identità percepita, ruolo sociale e altri aspetti, al proprio genere biologico di nascita.
Per non conformità di genere o persone di genere non conforme si intendono invece tutti quegli individui che sono distanti dall’essere cisgender per uno o più aspetti. Si intendono quindi tutte quelle persone che per tratti psicologici, comportamentali o socioculturali non si conformano e non si riconoscono nello stereotipo del genere biologico di nascita. Questa grande categoria raccoglie al suo interno gruppi eterogenei, cioè diversi tra loro, di persone; una delle varie sottocategorie riconosciute è quella delle persone transgender.
Per transgender si intendono tutti quegli individui la cui identità di genere, cioè il genere percepito da loro stessi, è diversa dal genere biologico assegnato alla nascita, identificandosi quindi nel genere opposto. L’orientamento sessuale non c’entra e non è rilevante per questa classificazione.
F2M o FtM sta ad indicare le persone transgender il cui genere biologico è quello femminile, mentre quello percepito è quello maschile, e che hanno intrapreso il percorso di transizione da un genere all’altro. Deriva dall’inglese “female to male” cioè “da femmina a maschio”.
M2F o MtF sta invece ad indicare le persone transgender il cui genere biologico è quello maschile, mentre quello percepito è quello femminile, e che hanno intrapreso il percorso di transizione da un genere all’altro. Deriva dall’inglese “male to female” cioè “da maschio a femmina”.
L’appartenere a una categoria diversa dai cisgender non configura patologie psichiatriche. L’essere transgender non significa essere affetti da patologie mentali, come stabilito dal DSM-V (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali – Quinta Edizione).
La Disforia di Genere, cioè uno stato emotivo patologico di sofferenza e malessere che può manifestarsi con vari sintomi, dalla depressione, all’irritabilità, all’ansia, al comportamento impulsivo, è generata dalla discrepanza tra genere biologico e genere percepito. Non tutti gli individui transgender o di genere non-conforme soffrono di questo disturbo che può presentarsi come permanente o temporaneo.
La terapia per la disforia di genere
In alcuni casi, la psicoterapia è sufficiente a permettere all’individuo transgender di integrare la propria identità di genere con il genere assegnato alla nascita. Questi individui riusciranno quindi a risolvere la disforia (sofferenza) senza il ricorso a pratiche mediche o chirurgiche.
Altri individui riescono a risolvere la disforia tramite la semplice espressione a livello sociale e comportamentale del genere percepito, accompagnato o meno dalla psicoterapia, anche qui senza ricorso alla terapia medica o chirurgica.
La disforia di genere è spesso, ma non sempre, accompagnata dal forte desiderio di liberarsi dalle caratteristiche sessuali primarie e secondarie del genere di nascita e dal forte desiderio di acquisire le caratteristiche sessuali primarie e secondarie del genere percepito.
In questi casi, dalla diagnosi di disforia di genere e dal primo approccio psicoterapeutico necessario ad evitare il ricorso a trattamenti parzialmente o totalmente irreversibili e ai rischi connessi, si può passare a uno o più trattamenti medico-chirurgici. Nessuno di questi trattamenti è obbligatorio, sta all’individuo stabilire cosa sente di aver bisogno per ritrovare la serenità. Si tratta quindi di piani terapeutici sempre diversi e su misura dei pazienti.
Il punto di partenza è quasi sempre la terapia ormonale sostitutiva.
- Nel caso FtM si chiama terapia ormonale sostitutiva mascolinizzante, a base di testosterone
- Nel caso MtF si chiama terapia ormonale sostitutiva femminilizzante, a base di estrogeni e altri farmaci.
La terapia ormonale ha effetti variabili in base alle caratteristiche di partenza, ma anche degli obiettivi e aspettative, di ogni paziente. È inoltre un requisito per alcuni degli interventi chirurgici.
Per quel che riguarda la chirurgia rimandiamo ai post più esaustivi sul tema, in particolare
Nel caso FtM
- Intervento di Istero-Annessiectomia, cioè la rimozione chirurgica di utero, tube e ovaie.
- Intervento di vaginectomia, cioè l’asportazione della mucosa vaginale e chiusura del canale.
- Intervento di mastectomia bilaterale, cioè l’asportazione del seno.
- Intervento di scrotoplastica, cioè la ricostruzione chirurgica dello scroto.
- Intervento di metoidioplastica, una delle alternative per la ricostruzione del pene.
- Intervento di falloplastica, la seconda alternativa per la ricostruzione chirurgica del pene.
- Intervento di mascolinizzazione del viso, una serie di interventi cranio-maxillo-facciali per il conferimento di lineamenti mascolini al viso.
- Intervento e terapie per la mascolinizzazione della voce.
Nel caso MtF
- Intervento di vaginoplastica, cioè la ricostruzione della vagina.
- Intervento di mastoplastica, cioè la ricostruzione del seno.
- Interventi di femminilizzazione del viso, una serie di interventi cranio-maxillo-facciali per il conferimento di lineamenti femminili al viso.
- Intervento di femminilizzazione della voce.
Si parla in entrambi i casi di interventi di chirurgia ricostruttiva, non estetica, in quanto non eseguiti a fine puramente estetico, bensì per rendere congruente l’aspetto e le caratteristiche corporee con il sé ed il genere percepito dal paziente. E si tratta di una terapia medico-chirurgica a tutti gli effetti, in quanto nella maggior parte dei casi è in grado di risolvere la disforia di genere.
Fonti
- [1.0] http://www.siams.info/disforie-di-genere-aspetti-legali/
- [1.1] http://www.consultoriotransgenere.it/documenti/transiti.pdf
- [1.2] http://www.onig.it/drupal8/node/10
- [2] Disforie di genere – Riattribuzione chirurgica – Società Italiana di Andrologia e Medicina della Sessualità (SIAMS)
- [3] ONIG – Osservatorio Nazionale Identità di Genere
- [4] Standards of Care – Settima Edizione – World Professional Association for Transgender Health
- DSM-V – Diagnostic and Statistic Manual of Mental Disorders – Fifth Edition